Grandi autori, da Dostoevskij a Pavese, da Flaubert a Doyle, da Deledda a Poe hanno scritto di un cavallo.
Uomini e bestie erano compagni una volta e si capivano. Poi, a poco a poco, l'uomo sbandì le bestie dalla sua vita. Del raglio dell'asino, di questo grido straziante e mitologico, non rimane in noi se non una lontana eco, fra i ricordi tristi e universali dell'infanzia.
Animo un giorno passeggiava per Roma con un amico. Questi gl'indicò nei Dioscuri del Quirinale il tempo in cui gli uomini e animali erano alleati, poi, nel Marco Aurelio del Campidoglio, il cavallo ridotto a sedile e a mezzo di trasporto. Un'altra volta, passando per il quartiere Vaugirard, a Parigi, Animo vide sopra una porta monumentale un cavallo di bronzo, e pensò che fosse l'ingresso di un maneggio: gli dissero che era il mattatoio equino. In fine il cavallo se ne andrà anche di lassù, la sua carne scura e dolciastra non scenderà più nello stomaco del suo amico di un tempo. E un giorno, sopra le pietre della città, l'uomo vedrà apparire un cavallo enorme, bianco, con una croce luminosa sulla testa, e, come Sant'Uberto, piegherà il ginocchio e adorerà. Sarà l'ultima apparizione del cavallo a colui che lo ha tradito.
Alberto Savinio
Pag. 266, pubblicato a novembre 1998.
A cura di Alessandro Paronuzzi.