Fiabe di Praga magica. Come la gente ripaga
Come la gente ripaga
Una volta un contadino che portava la legna dal bosco decise di riposarsi un po’, gettò a terra la legna e si sedette su una pietra. In quel mentre udì queste parole che provenivano da una pietra lì vicino: “Ah, ti prego, solleva questa pietra, altrimenti muoio; liberami e io ti compenserò così come la gente ripaga, nel modo migliore”.
L’uomo fece rotolar via la pietra e dalla buca uscì una grossa serpe, si attorcigliò a ruota, spiccò un salto verso l’alto e disse: “Preparati a morire”. L’uomo si spaventò molto e pieno di rabbia se la prese con l’ingrato serpente: “Non hai forse chiesto il mio aiuto? Non ti ho forse salvato la vita?”. “Certo,” disse il serpente “e io non sto facendo altro se non quello che ho promesso, ti sto compensando come di solito la gente compensa.” Infine pensarono di lasciar decidere a qualcun altro, si sarebbero attenuti alle parole di chi avrebbe giudicato.
Andarono in giro insieme in cerca di giudici e in un villaggio trovarono un vecchio cane legato a un cancello: “Come va, custode fedele della casa?”. “Come vedete.” “Sii gentile e aiutaci a risolvere la nostra contesa.” E il contadino gli raccontò com’erano andate le cose. Dopo di che il cane chiese al serpente: “Questi sono i fatti?” “Sì, proprio così”, rispose il serpente. “Caro mio, ti aspetta la morte,” disse il cane “è proprio così, infatti, che la gente ripaga. Quando ero giovane amavo molto il mio padrone, senza di me non andava a caccia, da me dipendeva quale cacciagione avrebbe mangiato; lui cacciava le volpi e i lupi che io stanavo. Poi facevo la guardia alla sua casa per difenderla dai adri; il padrone mi voleva bene, gli avevano offerto una carrozza con i cavalli al posto mio, eppure non mi ha venduto. E ora che sono vecchio e malato, che non posso nemmeno muovermi né abbaiare, mi hanno lasciato qui legato al cancello. Così prima o poi l’acchiappacani mi ucciderà. Ecco come il mondo ripaga.”
Il povero contadino, vedendo che si metteva male per lui, pregò il suo compagno di andare in cerca di un altro giudice e il serpente fu d’accordo anche questa volta. Insieme attraversarono burroni e boschi finché in un villaggio trovarono un vecchio e misero cavallo. La testa gli pendeva e i fianchi erano incavati come tavole, tutto il suo corpo era coperto di mosche che lo pizzicavano, non aveva nemmeno la forza di scacciarle. “Come te la passi, nobile cavallo?” “Come vedete.” E i due gli domandarono di far loro da giudice e gli riferirono che il contadino aveva già chiesto a un altro prima che a lui e che quello gli aveva dato torto.
Il cavallo ascoltò con pazienza di cosa si trattava e anche lui diede ragione al serpente, dicendo che è proprio così che la gente compensa. “Quando io ero giovane,” disse “avevo a disposizione ogni ben di Dio. Appena mi facevano uscire dalla stalla tutti venivano ad ammirarmi. Ero io a portare il mio padrone in battaglia e più di una volta gli ho salvato la vita con la mia velocità e ho contribuito alla sua gloria. Allora avevo a mia disposizione due persone che mi servivano, mi strigliavano due volte al giorno, mi nutrivano con l’avena e il fieno migliori, nella stalla ci stavo come in una cameretta; d’estate, per evitare che le mosche m’infastidissero, mi proteggevano con una zanzariera e il mio padrone non mi avrebbe ceduto nemmeno in cambio di metà villaggio. Ma quando son diventato vecchio hanno lasciato che la fame mi tormentasse, neanche la paglia mi davano da mangiare e alla fine mi hanno buttato qui all’aperto, così prima o poi un lupo mi sgozzerà.” “Non sei ancora convinto?” domandò allora il serpente. Ma il contadino lo pregò di nuovo di cercare un terzo, ultimo giudice. S’incamminarono ed ecco correre per il bosco una bella volpe. “Ehi tu, volpe, aspetta, dacci il tuo parere, abbiamo una disputa tra di noi, già in due gli hanno dato torto.” La volpe, gran furbacchiona, li ascoltò entrambi, si voltò verso l’uomo, gli strizzò l’occhio e gli sussurrò: “Se mi dai tutte le tue galline ti tolgo da questa disgrazia”. “Non solamente le galline, ti darò, ma anche le oche e tutti i miei averi.”
La volpe assunse l’aria del giudice imparziale e disse: “Questa è una disputa alquanto seria, si tratta di vita o di morte. I primi due hanno giudicato con leggerezza. A questa discussione non si può porre fine se non nel luogo stesso in cui è sorta, quindi dobbiamo recarci sul posto; là si verrà a capo della questione e si deciderà da quale parte stia veramente la ragione”.
Arrivati che furono in quel luogo disgraziato, la volpe disse che era necessario cominciare dall’inizio: “Tu, contadino, siediti sulla pietra dove stavi seduto quel giorno, e tu, serpente, infilati nello stesso buco”. I due così fecero e appena il serpente si fu infilato nel buco la volpe esortò l’uomo: “Su, presto, mettici sopra la pietra!”. Quello non se lo fece dire due volte. Poi ringraziò la volpe per averlo salvato da una morte certa e la volpe rispose: “Ma non dimenticare le galline; do- mattina prima che faccia giorno passerò da te per la colazione”.
Il contadino arrivò a casa felice, si sentiva rinato, raccontò alla moglie cosa gli era successo, fece mille lodi dell’astuzia della volpe e aggiunse che le aveva promesso tutte le galline e che quella sarebbe venuta a prenderle l’indomani prima che facesse giorno. La moglie era davvero felice di riavere il marito sano e salvo, ma le dispiaceva anche un po’ per le galline.
Il giorno seguente, molto di buonora, la donna andò alla finestra e vedendo la volpe avvicinarsi e guardar dentro chiamò il marito: “Ascolta, vecchio mio, c’è qui fuori la volpe che guarda dentro”. “Certo, è quella che mi ha salvato la vita, è venuta a prender le galline.” “Non sarò mica matta a darle le mie galline! Prendi il fucile e ammazzala, che ci guadagnerai anche qualche soldo dalla pelliccia.” Il contadino diede ascolto alla moglie, imbracciò il fucile e dalla finestra sparò alla volpe.
Mentre stava per morire la volpe sospirò: “Ecco come la gente ripaga”.