La danza della tigre. La caccia comincia

La caccia comincia

I mammut uscirono allo scoperto, senza rumore, nel luogo previsto dalla mente umana. Uno dopo l’altro emersero dalla foresta, i grossi animali in capo alla fila, poi i più piccoli, e un enorme maschio alla retroguardia. Come se avessero ricevuto un ordine, adulti e giovani insieme alzarono le punte delle corte proboscidi, fiutando sospettosamente le pigre bave d’aria che spiravano sulla palude. Ma esse non portarono loro altro messaggio che l’acuto aroma della veronica e delle bacche che maturavano sui rovi. Né si udiva alcun suono, salvo il debole ronzio d’innumerevoli libellule intente ai loro giri sulla superficie della palude, simili a una bruma di puntolini scintillanti sotto il sole infuocato. Una dozzina di sguardi erano fissi sulla colonna.

I mammut cominciarono ad aggirare la palude, profilandosi ora nettamente contro il cielo. Le loro sagome, con i bassi deretani, le spalle gibbose e le teste a punta, davano un’impressione di sbilanciata potenza. Le grandi zanne ricurve scintillavano, bianchissime contro la pelliccia nera. Uno stomaco brontolò; e si udì un secco comando. Nel giro di pochi secondi, i fuochi si accesero crepitando. Dopo settimane di bel tempo la terra era asciutta come un’esca, la felce e il falasco divamparono con un ruggito. Figure urlanti scagliarono lance. Gli animali atterriti strillarono. Fuggendo le fiamme, si ritrassero in disordine verso la palude.
Quello era l’apice di parecchie giornate di preparativi e inseguimento, da quando la piccola banda di cacciatori aveva saputo del branco di mammut. Era presto per quegli animali e il Capo ascoltò con scetticismo lo sfiatato esploratore ansimare la sua notizia. Si poteva aspettare l’alce gigante, l’alce, il cervo, perfino il bisonte. Ma il mammut?
– Capo, non ci sono dubbi, – disse l’uomo.
– Ho visto lo sterco e le tracce fresche. Sono sette od otto animali e si muovono verso oriente.
– Dove si trovano adesso?
L’esploratore indicò il nord-ovest.
– A meno di mezza giornata, Capo. Possiamo prenderli, che ne dici?
– Saremo molto lontani da casa prima di trovare un posto buono per attaccarli, – disse il Capo.
– Non abbiamo l’equipaggiamento adatto per la caccia al mammut. E poi dovremo portare la carne al villaggio! Però...

Ora un gruppo ansioso si era raccolto intorno al Capo e l’eccitazione era evidente. Una caccia al mammut d’estate era un fatto insolito. Mammut e caribù lasciavano quelle regioni in primavera per le ignote terre del nord, dove la gente diceva che non c’erano alberi né uomini. Solo Troll e peggio. Il primo mammut compariva all’inizio d’autunno, ma la sua vera stagione era più tardi, quando i branchi arrivavano fitti, appena prima che gelassero le paludi, dove era più facile intrappolarli. Ma allora spesso il terreno era troppo bagnato per accendere i falò. Senza fuoco per spingere la preda dove si voleva, una caccia al mammut poteva essere molto pericolosa. Ora, nella tarda estate, dopo un lungo periodo di tempo asciutto, le probabilità erano buone. Il Capo si abbandonò ai ricordi.
– È vero che abbiamo avuto qualche caccia al mammut in estate, di solito quando non era piovuto per un pezzo.
L’ultima fu molti inverni fa. Forse non trovano abbastanza da mangiare al nord. Però, non abbiamo lance da mammut.

Il gruppo portava soltanto leggeri giavellotti da lanciare con l’atlatl. Per il mammut occorrevano armi molto più pesanti. D’altronde quegli uomini non erano in spedizione di caccia, ma di commercio, e tornavano dal Raduno estivo. Là, sotto la prima luna piena della tarda estate, i cacciatori del nord barattavano pellicce, avorio e castoreo con la preziosa selce e l’ambra del sud. Le tribù vicine s’incontravano, scambiandosi notizie e pettegolezzi. Si eseguivano danze e cerimonie, mentre i capifamiglia stipulavano contratti di matrimonio. La buona riuscita di ogni affare veniva celebrata con un sorso o due di vino nero, bevuto da grandi corna di bisonte.

A casa, le donne e i bambini dei clan, ai quali non era permesso partecipare al Raduno, uscivano tra paludi e foreste a fare una ricca raccolta di bacche.
Dunque quel gruppo stava tornando al villaggio, carico delle ricchezze acquisite con vantaggiosi baratti, fra cui ottimi utensili di selce, difficili da trovare in quella terra di granito e quarzite. Per alcuni giorni avevano viaggiato con gli uomini di un clan vicino, gente simpatica che viveva sulla riva settentrionale del Grande Lago. Ora si dirigevano a sud. La loro avanzata era lenta, perché le loro merci erano pesanti. Di quel passo, quattro giorni li separavano dal loro villaggio sul Lago delle Trote. Avrebbero incontrato le donne lungo il cammino.

II Capo del Lago delle Trote era alto e magro. Aveva i capelli neri, la pelle scura e una faccia dai lineamenti marcati, molto segnata, ma piena di bontà. Aveva perduto il conto dei suoi anni, tuttavia erano pochi più di quaranta. Teneva la barba corta. Il suo vero nome, Furetto, era da tempo dimenticato, con suo immenso sollievo. La sua fama era associata a un animale molto diverso. In gioventù, aveva ucciso una tigre nera, un’impresa che, a memoria della tribù, nessun altro aveva mai compiu- to. Certo, quella particolare tigre era vecchia, con una zanna rotta, e ave- va perduto il suo compagno. Ma si trattava pur sempre di un’autentica tigre nera, l’unica creatura oltre all’uomo che avesse abbastanza coraggio e astuzia per uccidere il possente mammut. Così la tigre nera divenne il totem del clan del Lago delle Trote, e il figlio maggiore del Capo, che faceva parte della spedizione commerciale, era chiamato Tigre.

Il Capo si toccò la zanna che gli pendeva sul petto. Quella e lo sbrindellato perizoma nero erano ricordi della sua indimenticabile caccia. La storia veniva raccontata spesso... anche troppo, a giudizio di alcuni giovani.
– Non possiamo portarci dietro tutte queste cose in una caccia al mammut, – disse.
– Nascondiamole e segniamo il posto, – suggerì il giovane Tigre.
– Le riprenderemo quando torneremo indietro. –
Gli altri si dichiararono d’accordo e il Capo cedette, come sapevano che avrebbe fatto. Il gruppo cominciò a fare i preparativi per la caccia, mettendo le aste alle pesanti punte di lancia, radunando tutte le asce a mano per tagliare la carne e assicurandosi che ci fossero abbastanza palle di fuoco: sfere di argilla riempite con braci ardenti, per tenere vivi i fuochi.
– Dobbiamo dividerci in due gruppi, – disse il Capo.
– Uno seguirà le tracce dei mammut, l’altro andrà avanti per segnare il posto.

Tutti sapevano quale compito era più importante. Seguire i mammut senza spaventarli, facendoli fuggire di corsa, non era sempre facile. Ma prevedere dove sarebbero andati, trovarsi là prima di loro, era un’impresa per la quale facevano affidamento sul Capo.

Se il gruppo fosse stato più numeroso, avrebbero potuto accendere abbastanza fuochi da spingere i mammut nella palude più vicina. Ma con quel tempo e soltanto una dozzina d’uomini, le fiamme potevano sfuggire al controllo e gli animali venir presi dal panico. Per quella caccia, la strategia doveva essere diversa. Avrebbero dovuto seguire i mammut finché fossero arrivati in un luogo adatto. Poi tutti gli uomini si sarebbero riuniti per attaccarli.
– A est, dove si dirigono i mammut, è terra sconosciuta fino alla Gran- de Acqua, – disse il Capo. – Dobbiamo prenderli prima, o potrebbero fuggire a nuoto.
– La terra a est è il paese dei Troll, vero? – domandò Tigre. Il Capo annuì. Per quel che ne sapeva, non c’erano uomini in quella regio- ne, soltanto Troll. Anni prima, dall’alto di una collina, aveva visto la Grande Acqua a est e a sud, dove il mondo finiva. Quello che doveva fare adesso era formare nella propria mente un’immagine di quella terra, prevedere quale strada avrebbero preso i mammut e decidere esattamente dove attaccare. Non c’era tempo da perdere.
– Tu, Marmotta, seguirai gli animali. Ti darò due uomini. Altri due faranno da collegamento. Il resto verrà con me.

Ricevuti gli ordini, gli uomini si dispersero per portare a termine i propri compiti. C’era un sentimento generale di euforia. Qualcuno già parlava della lingua di mammut con la salsa di mirtilli.

Tigre era il più giovane del gruppo, sedici inverni soltanto, o, come avrebbe detto lui, “tre mani e un dito”. Aveva avuto la sua iniziazione virile in primavera, l’aveva superata bene e ne era orgoglioso. Nessuno sapeva che aveva già visto il posto. Era stato inverni prima. Era uscito a raccogliere bacche per suo fratello Martora, che era malato. A mezza giornata da casa, si era trovato davanti al masso antistante la parete di roccia. Era in una piccola radura sul limitare del bosco, nascosto da cespugli di rose e ginepro. Allora non sapeva di che si trattasse, ma qualcosa gli aveva detto ch’era meglio tenere la bocca chiusa in proposito. Ma prima di andarsene aveva esaminato le tracce di carbone sul masso.

Quando gli avevano tolto la benda dagli occhi, aveva riconosciuto subito il posto. Ora il masso era stato trasformato in una tigre nera, con pezzi di pelliccia e un dente a scimitarra abilmente sistemato. Un’altra tigre nera era disegnata sulla parete di roccia. Il ragazzo era rimasto in piedi sul masso con la schiena rivolta alla parete, affrontando senza batter ciglio la grandine di proiettili d’argilla. Dopo aveva bevuto l’acre liquore di bacche, addolcito e rafforzato con miele, mirica e millefoglie; sogni meravigliosi lo avevano visitato. Ora era un uomo, un artista, uno dei più abili lanciatori con l’atlatl. Era anche il corridore più veloce e in quella caccia, la prima per lui al grande mammut, avrebbe messo a frutto quella sua abilità, perché il Capo l’aveva scelto come una delle staffette incaricate di mantenere il collegamento tra i due gruppi.

La caccia si protrasse per giorni, mentre il Capo, che era molto astuto e conosceva bene le abitudini dei mammut, elaborava il suo piano. Il branco si muoveva lentamente e fu localizzato senza molta difficoltà. Decidere dove attaccarlo era una questione più spinosa, ma alla fine il Capo fu soddisfatto. Trovò un’ampia palude, bordata sul lato occi- dentale da una distesa di basse colline con un unico, stretto passaggio. Tutte le tracce indicavano che i branchi di mammut lo avevano già at- traversato in precedenza. Lì, lungo il fianco della palude, egli avrebbe piazzato i suoi uomini.

I cacciatori erano così assorti nel loro compito che restava loro poco tempo per fare attenzione alle altre attività nella foresta. Nessuno si accorse che, mentre spiavano i mammut, essi stessi venivano osservati e che un’altra, più astuta caccia stava per aver luogo.

Tigre, correndo da un gruppo all’altro, si esercitava a scagliare la lancia contro bersagli adatti, grossi tronchi di pino, che facevano le veci dei mammut. Altrimenti si concentrava soltanto sulle tracce del branco e i messaggi urgenti che portava. Non notò la forma che di tanto in tanto s’immobilizzava dietro un albero o un cespuglio, o gli occhi attenti che registravano ogni suo movimento.


La danza della tigre

Bjorn Kurtén